Quando ero piccola, mia nonna, tutte le mattine spediva il nonno fuori di casa, con le parole: "Cecchino, vai a comprare il giornale!" e "Non sei ancora andato a comprare il giornale?". Del giornale in realtà non le importava niente, la verità è che non vedeva l'ora che si levasse dai piedi, così poteva spolverare in santa pace.
Perciò, tutte le sante mattine, appena finito di bere i caffè, lui si appoggiava quietamente il borsalino sulla testa, infilava l'impermeabile, frugava nel borsellino appoggiato sulla ribaltina presso la porta, e con in tasca qualche mille lire...
...spariva per un po'.
Al ritorno era sempre carico di pane - sempre le solite gommosissime biovette per vent'anni - bottiglia di vetro dal tappo rosso luccicante di latte fresco e La Stampa. Perchè "il giornale" a Torino, o almeno a casa dei nonni, significava "quel" giornale. Nei pochi giorni in cui sapevano che non l'avrebbero trovato in edicola, si diceva "vado a prendere un giornale", con un sospiro, come dire: "oggi dobbiamo accontentarci".
La funzione del giornale, per mia nonna, che aveva solo la quinta elementare, ma si era data da fare per studiare appresso ai tre figli piccoli, non era quella di essere letto. Almeno non da lei.
La funzione seria del giornale era tenerle occupato il marito - che poi mi va in giro a fare disordine.
E infatti nonno inforcava gli occhiali, metteva una sedia di fianco alla finestra, in modo che la luce cadesse sulle pagine e si gettava a capofitto nella lettura con una perizia che oggigiorno credo non esista più: leggeva dalla prima all'ultima riga, sforzandosi gli occhi per arrivare a quella scrittura che - brontolava- era troppo piccola e fitta per la sua età.
Andava avanti tutta la mattina, sino all'ora di preparare il pranzo. Poi sceglieva la pasta, ne faceva la quantità in un piatto fondo e apparecchiava la tavola.
Neanche nel pomeriggio, il giornale era libero, perchè dopo pranzo, lui si assopiva in poltrona lasciandolo cadere sulle gambe.
Mia nonna leggeva una sola cosa e lo faceva quando lui aveva finito.
Un pomeriggio me la fece vedere e mi disse che quando sarei diventata grande, per essere una buona massaia, avrei potuto leggerla anch'io. Mi disse che si imparavano molte cose e che così avrei saputo come risparmiare: "che con la pensione, se non stai attenta a tutto, non ce la si fa".
L'oggetto dell'amore di mia nonna esiste ancora oggi che il marito non c'è più e lei non ha più gli occhi per leggere. Si chiama "Saper spendere".
Se frugate nel giornale, verso il fondo, quasi sempre di domenica, vi si presenterà con la faccia sorridente di una signora simpatica: è Simonetta, la "sciura" che da anni regala alle massaie torinesi i buoni consigli che ogni massaia ritiene indispensabili, oltre a tante ricette, spesso di ottimi chef, per spender poco e far bella figura.
Qualche tempo fa, le ha messe tutte insieme: anni e anni di dolci, conserve, secondi sostanziosi e trucchi delle sue lettrici e ne ha fatto un libro. Costa poco, solo quattro euro, e non ha nè foto nè figure. Anche la carta è al risparmio, sembra quasi riciclata. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Le sue lettrici non si sarebbero concesse il lusso di una edizione patinata.
Se state pensando che un libro di cucina senza fotografie sia una sinfonia suonata con una pianola da bambini, vi state sbagliando. Basta aprire le pagine di questa meraviglia e le immagini appariranno nei vostri occhi di golosi istigate dalla fantasia: si sentono persino i profumi del cotechino in crosta e della marmellata di albicocche da riporre nei vasetti, degli sformatini al cioccolato e di mille e mille prelibatezze, tutte con la firma delle tante autrici che negli anni hanno voluto contribuire.
Se per Natale volete fare felice un'amica, spendete quattro euro. Vi ritorneranno indietro leccornie da mille e una notte quando vorrà provare uno dei venti menù natalizi o anche solo la ricetta di quei biscotti così particolari che ... proprio non ha saputo resistere!
Le ricette di Saper spendere
di Simonetta Conti
Ed. La Stampa
si può comprare anche online, qui.
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